Formaggio di latte vaccino o misto (vaccino e ovino) prodotto tipico dell’Alta valle Arroscia e delle altre valli dell’imperiese (dall’alta val Roja all’alta valle Impero); di forma cilindrica o anche rettangolare con diametro compreso tra cm 15 e cm 45; altezza dello scalzo cm 6-10; pasta di colore bianco, tendente al giallo pallido se più stagionato; consistenza morbida; occhiatura minuta od assente. Crosta poco spessa (2-3 mm), liscia ed elastica di colore paglierino o bruno rossiccio secondo la stagionatura. Peso della toma variabile da kg 0,8 a Kg 7. Sapore dolce, più saporito se stagionato.
Lavorazione
Prodotto con latte misto vaccino e ovino:
la percentuale d’utilizzo delle due diverse tipologie di latte varia secondo la stagione: in inverno può essere prodotto solo a base di latte vaccino, in primavera misto o prevalentemente di pecora. Il latte di una o due mungiture viene lavorato, portandolo ad una temperatura compresa tra i 34-37°C e aggiungendo il caglio (generalmente quello di vitello, liquido).
Dopo aver lasciato riposare il tutto per circa 40 minuti, si esegue la rottura della cagliata, fino ad una dimensione detta a chicco di riso. La massa così ottenuta viene posta in fascere o semplicemente deposta su canovacci di tela e dopo una prima pressatura che dura dalle 3 alle 24 ore per allontanare quanto più possibile il siero, il formaggio subisce più rivoltate.
Si procede quindi alla salatura tradizionale a secco con sale grosso o in salamoia. Viene consumato fresco o semi stagionato. Il tempo di maturazione varia dai 5 ai 40 giorni e avviene in locali freschi, areati, con temperatura tra i 12° e i 15° C.
Curiosità
Il nome Toma è comune a molti formaggi diffusi nell’Italia nord-occidentale e nelle zone limitrofe della vicina Francia. Nulla sappiamo di certo sull’origine del nome la cui presunta etimologia si fa derivare dal provenzale “toumo“, formella e troverebbe un riscontro negli appositi stampi in cui si pone la cagliata. Oppure, ipotesi meno accreditata, deriverebbe da un latino tardo, toma, traduzione dal greco tsmhó, taglio, presumibilmente per l’operazione di rottura del coagulo per favorire lo spurgo e la divisione del siero.